No, non mi posso rassegnare e le budella si attorcigliano provocandomi dei crampi allo stomaco non controllabili.
Stamattina al Canizzaro, glorioso liceo scientifico palermitano, c’era assemblea. I punti all’ordine del giorno sembravano meritevoli e, quantomeno, innocui:
- Antifascismo;
- Viaggi d’istruzione;
- Coordinamenti studenteschi;
- Varie ed eventuali.
Ed è stato proprio quel quarto punto, apparentemente privo di ogni minaccia, a fregarci.
Fra qualche giorno ci sarebbe stato il ricevimento dei professori, e, puntuale come l’herpes al labbro prima di un appuntamento amoroso, si è deciso di occupare la scuola. OCCUPARE LA SCUOLA.
Lo scrivo grande perché non riesco ad accettare una forma di protesta più inutile e strumentale di questa. Anche se un primato l’hanno ottenuto. Sono i primi a Palermo e gli unici rimasti in Italia (nel continente restante), dove l’occupazione come strumento di lotta è stato accantonato ormai una decina di anni fa in quanto assolutamente non proficuo.
Naturalmente (si accettano scommesse con cifre a tre zeri) tutti si risolve, o, per lo meno, non merita più alcun tipo di protesta, il week end prima del ponte dell’Immacolata, quindi, guardando il calendario, potrei dire tra venerdì 4 e sabato 5 dicembre.
Quando l’anno scorso si verificò la stessa performance fui contattata da un amico, Eugenio Flaccovio, che si occupa del rilancio di aziende in crisi in modo manageriale. Mi disse: “Fammici parlare in assemblea, vediamo cosa vogliono, e io farò loro una proposta”.
Andai dal capo e gli chiesi di far parlare Flaccovio. Inspiegabilmente accettarono, ed Eugenio prese il microfono: “Ragazzi io sono con voi e non vi dico che non dovete occupare (boato e applausi), ma lo strumento dell’occupazione non produce più risultati ed è assodato; voglio essere il vostro manager e voi sarete i miei clienti. Ditemi che obiettivo volete raggiungere e vi aiuterò a ottenerlo con tutti i mezzi in mio possesso, media in testa. Quindi: cosa volete?”
Attimi di silenzio misti a panico attraversarono l’aula magna della scuola dove si stava svolgendo l’assemblea. Una cappa di gelo avvolse i ragazzi. E tutto tacque.
Eugenio uscì sconfortato e mi chiese: “Cosa vogliono? Non l’ho capito…” e io: fare vacanza, farsi le canne la sera, bere birra e superalcolici a canna e flirtare con le compagne che occupano. Basta.
E fra l’altro l’anno scorso erano una trentina contro 1800 ragazzi, fra i quali, almeno un centinaio, pressò parecchio per entrare a scuola a studiare. Cosicchè ci furono anche dei violenti scontri fisici.
Facemmo anche una riunione fra genitori, in una piovosissima e molto triste domenica mattina, in un’aula che ci “concessero”. Eravamo una ventina di adulti e due/tre capipopolo con al collo la sciarpa palestinese a scacchi bianchi e neri. Cercammo di ascoltare le motivazioni dell’occupazione e, a un certo punto, mi sentì tuffata nell’atmosfera di uno dei più bei film di Nanni Moretti del 1977: Ecce bombo.
Quello che dicevano girava intorno al nulla, non c’erano idee politiche o risvolti sociali, ma solo fumo. A un certo punto, uno di loro disse, col più bieco accento palermitano: “Il problema è che non è giusto che i ricchi (disse proprio così, i ricchi) possano comprarsi i libri nuovi e i poveri debbano comprarli usati”.
Mi guardai intorno per capire le reazioni degli altri genitori, aspettandomi grasse risate. C’era chi guardava lo smartphone e chi faceva il pesce lesso con una giovane mamma. Nessuno se ne accorse. Allora pensai: ci dev’essere una telecamera nascosta e ci stanno mettendo alla prova. Ma non spuntò fuori nessuno. Nemmeno il cartello di “Scherzi a parte”. Proposi di denunciarli in commissariato e fui presa per reazionaria e, ancora ora qualcuno mi dice che sono esperienze che vanno fatte.
E mi sentì OSTAGGIO; ostaggio di un manipolo di deficienti, che, con una prevedibile manovra, ormai vecchia e scontata, teneva in scacco una scuola, il suo personale, 1800 ragazzi e 3600 genitori.
E oggi il carosello ricomincia. Chi paga il mio riscatto?
Manca tutto cio che la scuola dovrebbe insegnare, in primis il senso critico. Se sono un manipolo di deficienti che non hanno la piu pallida idea di quello che stanno facendo e del perche, lo si deve ai loro insegnanti e ai loro genitori. Altro che occupazione, qui servirebbe una rivoluzione! Ma i ragazzi che vengono descritti nel pezzo non avranno mai gli strumenti per cambiare nulla, neppure da adulti. La vera sconfitta e questa.