Nel 1969 fu pubblicato un LP fenomenale, di Vinicius de Moraes, Sergio Endrigo e con la partecipazione del sommo poeta Giuseppe Ungaretti. Il titolo dell’album era una frase della canzone Samba de bênçao, tradotta in italiano da Endrigo in Samba delle benedizioni e presente nel disco.
E questa frase è un po’ il mantra della mia vita, in cui ho incontrato miliardi di persone che hanno lasciato anche solo un granello di luccichìo in me.
In questi giorni sto dando una mano a mio marito, avvocato, che deve vendere un appartamento che andrà all’asta per una vendita giudiziaria. Io mi occupo di far visitare la casa. Così vedo coppie in procinto di sposarsi, single rampanti, affaristi e tecnici, e genitori che cercano casa per i propri figli.
Il palazzo è una dimora nobiliare del ‘700 interamente ristrutturata in centro storico. Un gioiello.
Mi piace questo incarico, mi piace chiacchierare, conoscere chi ho di fronte, capire se l’appartamento può fare al caso di chi viene in visita e, in questo tourbillon di probabili compratori, ci sguazzo proprio!
Qualche giorno fa una coppia, con il padre di uno dei due al seguito, appena è entrata mi ha guardato (con mascherina ben calcata sul viso) e lui ha esclamato: “Ma lei è la signora Piazza!” E io, sorpresa, ho risposto: “Mi scusi, ci conosciamo?” e lui: “Certo! Lei mi ha fatto visitare Villa Pottino, Villa Virginia e ora la trovo qua. E siccome mi piace come descrive le case sono felice di vederla con lei!”
Sono scoppiata a ridere e mi sono “priata” all’idea di aver, evidentemente, lasciato un segno positivo anche in chi mi ha conosciuto così fugacemente.
Ma quello che è successo stamattina è stato veramente emozionante.
Sono venuti a visitare l’appartamento due inquilini del palazzo che abitano al piano di sopra. Lui, un politico di sinistra di vecchio stampo, lo conoscevo da tempo per averlo incontrato a parecchie manifestazioni, ma lei no. Naturalmente ho attaccato bottone con la signora e lei mi ha raccontato che già ha diviso in due il loro attuale appartamento per darlo alla figlia, e che avrebbero avuto piacere di avere anche il figlio maschio nello stesso palazzo. Poi, però, ha sospirato confidandomi che il tutto dipende da dove lui troverà lavoro perché questa terra infame caccia i giovani lontano.
Sono entrata subito in sintonia con lei, pensando che anche io ho un figlio ventenne che farà lo stesso appena laureato perché un ingegnere gestionale a Palermo non ha cosa gestire e subito mi è tornata alla mente la canzone di papà “Terra che non senti” che lui scrisse per Rosa Balistreri. È una canzone che è stata composta, parole e musica, alla fine degli anni sessanta. Parla della Sicilia che non sente il grido di dolore di coloro che devono andar via per lavorare e che non offre nulla per farli tornare. È ancora attualissima.
Cercando su Youtube ne ho trovate una sessantina di versioni, in tutte le lingue e con vari arrangiamenti. Da cantanti siciliane note, come Carmen Consoli, a toscane come Nada. Ma, oltre, naturalmente, alla versione di Rosa, ne ho sentite due stupende: una è quella della cantante israeliana Noa, che ho pure conosciuto in teatro a Palermo, e che la presenta raccontando di come lei la senta vicina perché le parole descrivono lo strazio di chiunque debba abbandonare il proprio paese, e a lei ricordano i fuggiaschi dalla guerra, e l’altra è di una cantante palermitana, Paola Munda, che, per caso, mi ha contattato su FB chiedendomi il permesso di poterla cantare e registrare in una disco, facendone una versione mirabile.
Dunque, stamattina, la signora che cercava l’appartamento per il figlio, ha scatenato in me il ricordo di papà e le ho detto che lui aveva scritto una bella canzone proprio sull’emigrazione, per Rosa. Si è incuriosita e mi ha chiesto quale fosse. Appena le ho detto il titolo ha cominciato a cantarla, intonatissima, e ricordando tutte le parole. Non posso dirvi il tuffo che ha avuto il mio cuore. Avevo i lucciconi agli occhi e, se non fosse stato per questo maledetto virus, me la sarei abbracciata. Anche lei è rimasta molto colpita, tanto da confessare di avere la pelle d’oca.
Pensare che papà e la sua meravigliosa musica, dopo più di cinquant’anni, siano nei cuori delle persone è per me un’emozione indescrivibile. E penso che se di una persona rimane una testimonianza così importante, allora è come se non ci avesse lasciato mai.
E chissà chi incontrerò alle prossime visite, ma, il caffè che mi voleva offrire oggi la signora, me lo andrò a prendere di corsa.
Samba Delle Benedizioni
Meglio essere allegro che esser triste
Allegria è la miglior cosa che esiste
È così come un sole dentro il cuore
Ma se vuoi dare a un samba la bellezza
Hai bisogno di un poco di tristezza
Se, non è bello un samba, no
[Parlato]
Se no, è come amare una donna solo bella e beh! Una
donna deve avere qualche cosa in più della bellezza.
Qualche cosa che piange, qualche cosa che ha malinconia
un’aria di amore tribolato; una bellezza che viene dalla
tristezza di sapersi donna fatta per amare, per soffrire
d’amore e per essere solo perdono
Fare un samba non è una barzelletta
Chi fa un samba così non è poeta
Il samba è preghiera, se lo vuoi
Samba è la tristezza fatta danza
Tristezza che ha sempre la speranza
Di non essere triste prima o poi.
[Parlato]
Prendi tutti quelli che vanno in giro e scherzano con la
vita. Attento, amico! La vita è una cosa seria e non ti
sbagliare, eh? Ce n’è una sola!
Due, che sarebbe meglio, nessuno mi convincerà che ci
sono senza provarmelo con prove definitive, cioè:
certificato rilasciato dal Notaio del Cielo e sottoscritto:
Dio (e con la firma autenticata).
La vita, amico, è l’arte dell’incontro, malgrado ci siano
tanti disaccordi nella vita. C’è sempre per te una donna
in attesa, gli occhi pieni d’amore, le mani piene di
perdono: metti un poco d’amore nella tua vita, come nel
tuo samba.
Metti un poco d’amore dentro un ritmo
E vedrai che nessuno al mondo vince
La bellezza che c’é in un samba, no
Perché il samba è venuto da Bahia
E se è bianco di pelle in poesia
E’ nero nell’anima e nel cuore.
[Parlato]
Io, per esempio, il Capitano delle Indie Vinicius de
Moraes, il bianco più negro del Brasile, diretto
discendente del re Xangò
Saravà, cioé salve!
Benedizioni, grandi sambisti del mio Brasile bianco, nero,
mulatto, bello e liscio come la pelle della dea Oxum
Benedizione Antonio Carlos Jobim, compagno di canzoni
e caro amico che tanti samba hai viaggiato con me e
ancora tanto viaggerai!
Benedizione, Baden Powell, compagno nuovo amico
nuovo che hai fatto questo samba come me: benedizione a te!
Benedizione, Chico Buarque de Hollanda
Tu che non chiedi, comandi
Tu che hai nel cuore una banda
Tu che appena parti, già sei arrivato!
Il samba ti guardi, compare mio.
E ora, tornando al portoghese, la mia
lingua, voglio salutare i grandi amici del samba, in Italia, gli
uomini che hanno portato il samba in Italia, gli
uomini e le donne che amano il samba in Italia
Benedizione, Endrigo, tu che sei e sei stato tanto amico e
canti questo disco con me: benedizione, amico!
Benedizione ai bambini che hanno inciso questo disco
con me, io li benedico!
Benedizione, Ungaretti, che quando ti penso
M’illumino d’immenso
Tu che sei immenso, tu che sei denso, tu che sei intenso,
Benedizione, Ungaretti, mio paparino e fratello!
Benedizione, Ungaretti, che sto partendo
E devo dirti addio.
Perché il samba è venuto da Bahia
E se è bianco di pelle in poesia
È negro nell’anima e nel cuore.
Grazie.
E di che?