Geraldina Piazza

Sole amaro

forestaNon mi vanto di amicizie che non c’erano e di conoscenze lavorative superficiali. Non ricordo nemmeno in che occasione ci eravamo incrociati, ma, ho guardato proprio stamattina, avevo il suo numero di cellulare in rubrica.

Come chiunque, a Palermo, si occupasse di uffici stampa, visto che I Love Sicilia e LiveSicilia erano due importanti realtà palermitane. Così, nonostante un mal di testa devastante, ho sentito di andare a salutarlo.

Villa Filippina. Che strano posto per una cerimonia funebre, fuori dagli schemi, come tutte le scelte che aveva fatto, del resto, nella sua vita. Lasciare un posto sicuro, nel quotidiano più letto della regione, per tentare un salto nel vuoto. Ma aveva occhi acuti e antenne lunghe visto che proprio questo salto l’ha portato nell’olimpo dei giornalisti illuminati. Una grande foto ci ha accolto nel viale di ingresso, di un Francesco sorridente, con occhi ironici e il capo all’indietro. Uno schiaffo alla morte, al male che se l’è rapito in soli 4 mesi. Lasciandogli però la lucidità di programmare tutto. TUTTO. Dal passaggio di consegne a chi dovrà guidare le sue creature, all’organizzazione del funerale, alle parole scritte, con un’ironia quasi fuori luogo, a chi è rimasto attonito per cercare di capire come fare a riorganizzare la propria vita. E il vento…ma l’ho colto solo io o era in sintonia pure quello??? Nei momenti cruciali, facendosi largo fra le chiome degli alberi della villa, soffiava più forte scompigliandoci gli animi, le gonne, i capelli. Quando risuonavano, laceranti, le note dell’armonica di Giuseppe Milici, quando è arrivata la bara, portata a spalle dai suoi amici, quando ci siamo scambiati un segno di pace…

Da piccola pensavo che il vento fosse generato dal battito delle ali degli angeli, come fossero le pale di un elicottero…probabilmente era proprio questo che creava agitazione: erano tutti là a aspettarlo, per accoglierlo con un bel Mac pronto, per la redazione di Eden news…

E stavolta, contraddicendo quella che è stata una delle gag più riuscite di Renzino Barbera, quelli che stavano nelle ultime file non chiacchieravano fra di loro, non sorridevano, non rispondevano ai cellulari…Occhiali da sole e sguardo basso. Qualcuno tirava su col naso e qualcun altro asciugava, furtivamente, una lacrima che rotolava giù senza autorizzazione. Ma, a parte, l’omelia, noiosa e banale, come sempre i discorsi fatti da persone che non conoscono nulla di chi è mancato, si respirava un’aria di scoramento, perché non ti sembra giusto morire a 49 anni, nel pieno della tua vita e circondato dai tuoi affetti. Ci guardavamo, l’un l’altro, afflitti. E ascoltavamo la sua ultima lettera, ironica, dissacrante, eppur mesta, di ringraziamento e raccomandazioni alle persone vicine. Non so se avrei avuto il suo stesso coraggio, di guardare in faccia la morte senza urlare tutta la mia rabbia.

E un pallido sole di gennaio, tiepido e rassicurante, ha scaldato la nostra mattina. Molto amara.

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