Al Costanzo Show gli ospiti venivano scelti solo da lui e dalla redazione e non venivano pagati nemmeno con un gettone di presenza. Se venivi da fuori Roma ti ospitavano. Le persone facevano carte false per andare alla sua trasmissione. Se eri su quel palco, e volevi lavorare nello spettacolo, voleva dire avere svoltato. Ma io non facevo quel mestiere, quindi rischiavo, anche perché era il periodo in cui impazzava Sgarbi che insultava tutti, a destra e a sinistra.
Mi consultai con Paolo, con qualche amica e poi richiamai Roma.
Chiesi di barattare l’albergo, di cui non avevo bisogno perché ci ospitavano gli zii, con il volo pagato anche per Paolo che volevo al mio fianco. Credo che sorrisero perché era una richiesta facile da accontentare.
Così volammo insieme a Roma trovando un autista all’aeroporto che ci accompagnò a casa, per poi riprenderci per andare al Teatro Parioli.
Era il gennaio del 1997 e venivo da un periodo di grande tourbillon. A dicembre ‘96 avevo pubblicato un annuncio in cui “vendevo favole su misura”. Questo ebbe un’eco mediatica pazzesca e fui chiamata ospite in un sacco di trasmissioni.
Il casino sembrava essersi calmato quando, una mattina, rientrando a casa, ascoltai la segreteria telefonica e trovai questo messaggio: “Buongiorno, siamo della redazione del Costanzo Show, vorremmo invitarla. Potrebbe richiamarci a questo numero?” Strabuzzai gli occhi e pensai “questo è qualche amico che mi sta prendendo in giro, e appena telefono mi fa un pernacchio in stereo”. Ciò nonostante telefonai e il numero era sul serio della redazione di Costanzo. Subito chiesi perché mi invitavano e loro mi dissero che avevano seguito il mio percorso ed erano incuriositi. Chiesi del tempo per pensarci e li sentii perplessi.
Fui accompagnata nei camerini dove incontrai gli altri ospiti: Gerry Scotti, Melba Ruffo di Calabria, l’attrice americana che interpretava Sally Spectra di Beautiful con cui ebbi un difficile incrocio nei corridoi sotterranei al palco che erano cunicoli strettissimi, Nicolò Fabi e qualche altro sconosciuto strampalato come me.
A uno a uno fummo chiamati nel camerino di Costanzo dove lui ci conosceva personalmente. Gli regalai il libro di papà e Renzino appena stampato e gli raccontai cosa facevo. E allora mi chiese se me la sentivo di scrivere delle favole sul palco. Naturalmente risposi sì e mi disse: ha dove scrivere? Avevo con me un quaderno e una penna e lui mi disse di portarli sul palco.
Quando salì sul palcoscenico col mio calepino fui immediatamente bloccata dal direttore di palco che mi disse perentorio: “Lei dove va con quel libro?” E io piccola piccola risposi che me lo aveva detto Costanzo. Si informò e, avuta conferma, mi lasciò salire. Scoprii dopo che tanta gente si portava appresso materiale con cui si faceva pubblicità e lui aveva proibito di far salire qualcosa sul palco.
La trasmissione filò liscia, lui mi intervistò molto tardi e mi fece leggere quello che avevo scritto nel frattempo. Seguirono applausi e si chiuse la trasmissione.
Uscendo fui assalita da signore del pubblico, che mi avevano appena seguito, che urlavano “La signora delle favole! La signora delle favole!” E subito mi chiesero di farsi delle foto con me e vollero degli autografi…
L’autista ci riaccompagnò a casa e verso mezzanotte mi squillò il telefonino. Mamma, a casa, non stava bene e lo squillo mi allarmò. Risposi e sentì un singulto, una voce ansimante. Era mamma che non riusciva a parlare per le risate, ma l’effetto non era chiaro. Poi, quando si calmò mi disse: “Finalmente posso dire a qualcuno COMPLIMENTI PER LA TRASMISSIONE”. E chiuse.
Poi, al rientro ci fu il resto di popolarità, ma questa è un’altra storia.
A seguire la favola su Costanzo e Maria De Filippi pubblicata qualche anno dopo e a cui la mia disegnatrice cambiò il titolo da Il gatto Maurizio a Il gatto Filippo.
Il gatto Maurizio (o Filippo!)
Maurizio era un nero gattone che viveva in un piccolo teatro. Non era di razza, né aveva un folto e morbido pelo, anzi, qualche ciuffo gli mancava qui e là, segno evidente di battaglie a suon di unghiate, per affermare la sua gattosa libertà. Difatti, quando era poco più che un cucciolo, sfuggì fortunosamente ad un ceffo che voleva appropiarsene. Da allora imparò a guardare con diffidenza chiunque avesse meno di quattro zampe.
Aveva trovato rifugio all’interno di un sofà un po’ sgangherato, in un camerino ormai chiuso da tempo e pieno di vecchie foto ingiallite, dagli angoli stropicciati, di una diva degli anni cinquanta. Faceva una vita tranquilla, senza sobbalzi. La mattina dormiva sino a tardi, disturbato solo dai rumori delle donne delle pulizie che ogni tanto avevano tentato di risucchiarlo con i loro attrezzi infernali. Il pomeriggio assisteva, non visto e sornione, alle prove degli spettacoli, godendo dei migliori posti in platea. Si divertiva a guardare gli umani, che con mille maschere e la voce impostata, fingevano di essere qualcun altro, anche se non ne capiva la necessità.
Nel quartiere lo conoscevano tutti, e tutti lo amavano. Qualcuno gli portava del cibo, altri del latte caldo, altri ancora si fermavano anche solo per una carezza. E lui si godeva tutto, leccandosi i baffi lunghi e vibranti, incurante che la sua stazza in aumento sarebbe stato un problema per rientrare nello stretto sofà. Tutte le femmine, umane o pelose, dell’intero rione erano pronte a contenderselo. “Maurizio -diceva una bionda dall’alto dei suoi tacchi a spillo- vieni, ti ho portato il patè”. “Maurizio -miagolava una leziosa micina lisciandosi il pelo- andiamo a vedere la luna”. E lui, invidiato da qualunque altro essere micioso, non cedeva alle lusinghe.
Ma un giorno, non troppo tempo fa, il suo sguardo furbo andò a stanare, in un angolo la piccola Maria, che se ne stava in disparte avvolta nella sua timidezza e lo guardava con finta indifferenza. Ogni tanto gli portava da mangiare ma senza farsi notare, senza urli né schiamazzi. E, soprattutto, non aveva mai tentato di portarlo a casa con sé. Anzi, una volta lo aveva persino seguito. “Che strano essere umano era mai quello che pedinava un gatto per strada invece di farsi seguire?” pensò Maurizio un po’ confuso, ma eccitato per la novità. E fece fatica a rimanere nel proprio pelo quando, un giorno, senza rendersene conto, la trovò all’interno del teatro che guardava silenziosa, con le mani dietro la schiena, le travi su in alto. Che stesse cercando proprio lui? Pian piano rientrò nel camerino e stentò a orientarsi. Che cosa era successo? Il divano era stato rattoppato e un grande cesto con un soffice cuscino troneggiava al centro della stanza. Una ciotola, poco distante, conteneva del pesce bollito dal profumo invitante. Così Maurizio, sfoderando i suoi denti in un sorrisetto compiaciuto, pensò: “Forse non sono così male gli esseri umani”, e scorgendo Maria vicino alla porta, andò a strusciarsi sulle sue gambe avvolgendole la coda intorno al polpaccio. Il suo ronfo, dapprima esitante e poi poderoso, invase il camerino e anche lei, finalmente sorridente, si chinò a ricambiare quelle coccole.
Ancora adesso Maurizio e Maria vivono insieme, ma senza padroni, perché la loro è stata una libera scelta!
Telepatia! Stavo per chiamarti e mi arriva il tuo colorito racconto. Sono da Mamma. Stavo riordinando perline da infilare e mi sono detta: lo chiedo a Geraldina. E sei arrivata, bellissimo racconto. Bacio grande
Grazie Luci per l’apprezzamento. Puoi venire quando vuoi.
Che vita avventurosa che hai avuto (scherzo), e che bella favola (non scherzo)!
Un semplice e bellissimo ricordo che hai fatto bene a condividere
del grandissimo Maurizio Costanzo.
Grazie Geraldina.