Era il 1970 quando papà incontrò Rosa Balistreri, meravigliosa voce e anima siciliana, che, appena rientrata a Palermo dopo aver abitato a Firenze tanti anni, vagava tra un salotto di intellettuali e uno studio di registrazione.
Se la contendevano tutti, da Renato Guttuso a Busacca e Buttitta. Papà la conobbe alla Tavolozza, galleria d’arte di Vivi Caruso, moglie del pittore Bruno, e fu un colpo di fulmine.
Per lei scrisse una delle sue più belle canzoni, Terra ca nun senti, sul dolore degli immigrati costretti a lasciare la propria terra d’origine.
La sua casa discografica, La Fonit Cetra, si innamorò di questa canzone e volle presentarla al Festival di Sanremo. Fu ammessa a pieni voti dalla giuria che esaminava i partecipanti e sembrava tutto andasse a gonfie vele. Rosa chiese a mamma di accompagnarla a scegliere i vestiti per le serate e fu una scelta importante visto che aveva un fisico abbastanza sgraziato che mal si addiceva a tubini e paillettes tanto in voga in quegli anni. Era il 1973, e si respirava un’aria strana, di rivoluzione. Mancavano una decina di giorni alla partenza quando ricevetti una telefonata che, allora ragazzina, mi lasciò di sasso. Era il servizio postale che mi dettava un telegramma. Corsi a prendere carta e penna e, solo a testo concluso, mi resi conto della gravità della situazione.
La canzone di Rosa “NON ERA INEDITA” come obbligavano allora alcune clausole del regolamento. La base musicale era stata usata l’anno prima, da Achille Millo, regista e attore, amico di papà, che l’aveva voluta come sigla di un documentario da lui girato e mandato in onda su Rai Due.
Rosa si ritirò con una delusione cocente. Era una donna di sinistra, sempre pronta a lottare e a esporsi. Un personaggio scomodo, insomma, e il pretesto fu servito su un piatto d’argento.
Quell’anno il Festival fu abbastanza discusso. Vide anche la defezione, all’ultimo, di Adriano Celentano, che protestò accusando una “gastrite festivaliera” e non furono mandate in onda le prime due serate ma solo la finale.
Papà scrisse poi altre canzoni per Rosa, ma il loro sodalizio artistico finì con l’ictus che lo atterrò dal punto di vista fisico.
Qualche anno fa un amico musicista, Francesco Giunta, passando da Licata, città natale di Rosa, notò una cosa strana. In piazza le era stato dedicato un cippo, inciso nel marmo. C’era lei, in primo piano, con la chitarra in mano, e di sfondo, il rigo musicale con una canzone: Terra che non senti. Solo che, sotto il titolo, era scritto “Autore Anonimo”.
Mi salì il sangue agli occhi.
Se solo digiti questo titolo su Google ti risulta subito da chi sia stata scritta. E sui dischi incisi da Rosa c’è nome e cognome, che fra l’altro sono registrati alla S.I.A.E.
Così mi sono armata di tastiera e malocarattere e ho scritto al sindaco e allo scultore, intimandogli di rettificare immediatamente altrimenti avrei cominciato una causa.
Devo dire che il mio tono era tanto esplicito da farli agire nell’immediatezza e, adesso, un’amica passata da Licata per caso, mi ha mandato questa bella foto!
P.S.
Se la ingrandite si vede benissimo la correzione!!!
E se cercate la canzone su You Tube la trovate cantata da Noah, Nada, Carmen Consoli, in greco, in turco, e, in ultimo, da una nostra stupenda cantante palermitana che si chiama Paola Munda, che le ha ridato vita!
Grazie per questo bellissimo post e per avermi citato!
Un saluto affettuoso e buona Rosa a tutti noi!
Se non me lo avessi segnalato papà sarebbe rimaso “anonimo”!
Grande Geraldina! Così si fa… Ci penso molto in questi giorni vicini all’8 settembre, per me e molti memoria di quell’8 settembre 1943 in cui papà Enzo (morto nel 1975…) e zio Gianrico Tedeschi (morto centenario la scorsa estate nel suo Piemonte) si trovarono con altri 720.000 militari italiani all’estero abbandonati senza ordini, e con 600.000 di loro condivisero l’internamento militare resistendo al nazifascismo… E ricordo spesso Alberto e Giuliana, e Miriam ed Enzo, e noi bambine nella tua bella Sicilia… Un saluto caro e beneaugurante in questi giorni del nuovo anno ebraico 5782, un abbraccio particolare a Lucilla e ai ragazzi… Quanto a te, tutta la mia stima. Arrendersi, arrenderci, sarebbe tradire la memoria dei padri… Noi non ci arrendiamo!
Grazie davvero.
Di che?
Nel 1973 partecipo al Festival di Sanremo con la canzone in italiano Terra che non senti , ma fu esclusa. I pochi versi della canzone, scritta da Alberto Piazza, appaiono come il resoconto dei primi vent’anni di vita di Rosa, che canta il suo attaccamento alla Sicilia, la sua terra, rimproverandola di vedere i propri figli emigrare, senza far nulla. Stabilitasi definitivamente a Palermo, prosegui la sua attivita recitando e cantando al Teatro Biondo in La ballata del sale , uno spettacolo scritto appositamente per lei da Salvo Licata. Il 1987 fu per Rosa l ultima estate artistica come attrice teatrale, mentre come cantautrice continuo a girovagare per il mondo: in Svezia, in Germania, in America, raccogliendo sempre applausi ed apprezzamenti. A Licata torno un anno prima di morire, nel 1989, e in quell occasione Giuseppe Cantavenera scrisse la sua biografia. Rosa si spense all ospedale di Villa Sofia a Palermo, il 20 settembre del 1990, colpita da un ictus cerebrale. Rosa ha vissuto di canzoni, di fame, di botte e sogni mai realizzati. Buona parte del suo repertorio proviene da testi di autori ignoti. I temi ricorrenti sono quelli delle lotte contadine e della conservazione della cultura siciliana, sia sacra che profana. Non e un caso che buona parte dei testi da lei interpretati, abbiano come argomento feste sacre, “ Lu venniri matinu”, “il venerdi mattina” o momenti di vita campestre, come “ Quantu basilico ”, “Quanto basilico”. Una costante, nelle canzoni di Rosa, e il suo schierarsi sempre dalla parte delle donne e dei lavoratori. Le sue sono quasi sempre canzoni di protesta, nelle quali emerge spesso la dicotomia contadino-povero contro il padrone-ricco. Quella di Rosa e una storia umana di sofferenza, lacrime, fame, privazioni, lutti e dolore. E la storia dei lavoratori dimenticati, delle donne che stringono i pugni e vanno avanti.